La casalinga di Voghera non ne può più

Quanto contano oggi gli stereotipi nel mondo della comunicazione?

  • 09/10/2017
  • News & insight

“Il consumatore non è uno stupido. Il consumatore è tua moglie.”

David Ogilvy, uno dei grandi padri della pubblicità, l'aveva capito già trent'anni fa. Un punto di vista che anticipava i tempi, in un contesto a forte connotazione maschile. Oggi non dovrebbe nemmeno esserci bisogno di dirlo, no? Forse sì: non è un mistero che le donne trovino ancora enormi difficoltà a raggiungere posizioni davvero paritarie, a livello sia sociale sia lavorativo.

E la comunicazione, in quanto specchio della società, gioca un ruolo importante nel consolidare oppure nell'abbattere gli stereotipi di genere. La questione è più attuale che mai, tanto che nel Regno Unito si è reso necessario l'intervento dell'Advertising Standards Authority (ASA), l'organizzazione di autoregolamentazione dell'industria pubblicitaria del Regno Unito, che ha reso più rigidi i propri criteri per evitare gli stereotipi di genere nelle pubblicità. La motivazione? Gli stereotipi hanno conseguenze (negative) sugli individui, sull'economia e sulla società. Una corsa al riparo dopo alcuni recenti spot che hanno fatto leva su pesanti discriminazioni.

D'altro canto, il rapporto tra pubblicità e luoghi comuni è un discorso lungo quanto la storia della comunicazione. Da una parte, i guru dell'hard selling, della reiterazione degli schemi efficaci (e la stereotipizzazione, nel breve periodo, lo è). Dall'altra parte, i sostenitori del soft selling, di un approccio più empatico, inclusivo, attento alle tematiche sociali.

Spesso sembra che l'aspetto meramente commerciale della comunicazione contrasti con quello etico, quindi nel corso degli anni alcune aziende hanno scelto di essere più aggressive, altre hanno percorso una via più moderata.  

Forse i tempi sono maturi per un cambio di prospettiva. Oggi la vera sfida è generare utile senza perdere di vista l'attenzione nei confronti del cambiamento sociale, creando racconti coerenti con i progetti non più dei consumatori ma della singola buyer persona.

Va da sé che il ricorso a stereotipi non sia compatibile con questo approccio. Perché mai una bambina dovrebbe sognare di diventare una ballerina, mentre un bambino un grande matematico, come suggerisce lo spot di un latte in polvere citato in questo articolo de Il Post?Si tratta di uno dei principi di base dell'inbound marketing, oggi sulla bocca di tutti: intercettare i bisogni delle persone e dar loro delle risposte di valore in modo da attrarre clienti in modo naturale. Per farlo è necessario superare il tradizionale concetto di target e mettere in campo variabili molto più specifiche.

L'obiettivo è sempre generare risultati positivi (sui ricavi, sull'engagement, sulla brand awareness…) ma attraverso un racconto in cui una persona possa riconoscersi, a cui possa in qualche modo affezionarsi. Insomma, i luoghi comuni non vendono. Lo diceva già Ogilvy trent'anni fa.

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